“Transmissions” reviewed by Onda Rock

Transmissions
Dopo il sorprendente passaggio organico di “Chutes” offerto a Baskaru l’anno scorso, Mathias Delplanque torna ad accasarsi presso il più austero catalogo Crónica sul quale aveva già visto la luce il lodato “Passeports”, contravvenendo pure alla sua usuale anti-prolificità. Sulla sound art in perenne equilibrio fra field recordings e soundscape digitali del portoghese il discorso è stato già approfondito in passato, ma stavolta siamo di fronte ad un cambio di rotta, nel suo piccolo, decisamente radicale.

Nulla più di una “scelta”, in realtà: quella di lasciar fuori i suoni generati dal laptop per concentrarsi sul concetto di trasmissione meccanica e sulla sua resa sonora, ben introdotta dall’azzeccatissimo artwork che accompagna il disco. Scontato collegare quest’ultimo all’esperienza post-industriale di gente come Tattered Kaylor e, soprattutto, Chris Watson. Prendendo le mosse da quelle ricerche, Delplanque istituisce un monolite in quattro parti che si propone di riprodurre con estremo realismo l’archetipo sonoro della fabbrica.

Già sul bell’affresco della “Part 1”, però, il portoghese tradisce il suo scopo, “sfruttando” le registrazioni di un telaio come elementi sonori da utilizzare nella costruzione di un soundscape ben più pittoresco e soggettivo, la cui natura è rivelata dal progressivo farsi spazio di un drone. Il frammento della “Part 2” riesce invece nello scopo di isolare il suono della macchina, sovrastando a livello concettuale il ben più approfondito primo brano ma risultando nel complesso decisamente meno suggestivo.

Per le restanti due “Part” si cambia scenario: negli otto minuti di lontani richiami della terza siamo introdotti ad una schiera di non specificati strumenti, i cui suoni sono stati registrati dagli studenti di un seminario condotto dallo stesso Delplanque a Nantes. La quarta, di minuti, ne dura ben 40 e prende la forma di un’autentica sinfonia macchinale, la cui forza espressiva è incrementata dalla moltitudine di trattamenti sonori ed effetti “umanizzanti” che minano paradossalmente il realismo, evidenziando al tempo stesso la vittoria della sostanza sulla forma.

Matteo Meda

via Onda Rock