La proposta del compositore lituano Arturas Bumsteinas è di adottare i più tipici stilemi di folktronica e poptronica e di estenderli in lunghe composizioni da camera anziché rinchiuderli in arrangiamenti per canzoni tradizionali. L’ultimo “Meubles†(a seguire i vari “Stories from Organ Safariâ€, “Heap Of Languageâ€, “Three Sixteens†etc.) è un esempio lampante di questo metodo.
L’idea è sulla carta ottima, ma all’ascolto priva di cardini che tengano insieme i brani. “Hszczâ€, 17 minuti, soundscape aurorale di tocchi quasi raga e accordi dal timbro eterogeneo, suona come un lungo preludio. “Llullâ€, 20 minuti, ha qualche stridore in più, briciole di percussioni, e un appena accennato feeling jazz che filtra fioco tra i coriandoli sonori. “Davidâ€, 13 minuti, aggiunge qualche vapore elettronico e qualche ombra di slide desertica all’usuale micro-giungla rarefatta di cenni sonori.
Una domanda, posta dallo stesso Bumsteinas, da far arrovellare Brian Eno e da far rivoltare nella tomba Erik Satie: “If music could be furniture, which piece of furniture it would be?†E’ vacuo però trovare una risposta in questi poemi neo-ambientali dall’amichevole appeal timbrico, in pericolante bilico tra casuali prove d’orchestra ed elogio del metodo stocastico. Eseguito con il suo Works & Days Ensemble (Ilia Belorukov, Kamil Szuszkiewicz, Lina Lapelyte, Anton Lukoszevieze, Birute Aseviciute, Piotr Bukowski, Bartek Kalinka, Hubert Zemler), registrato tra 2011 e 2013 in vari “portable studios”. Michele Saran
via Onda Rock