“Flow” reviewed by Sans Zine

In “Morte a vele spiegate” di C. P. Snow, un giallo che al momento sto leggendo, a un certo punto c’è scritto: ‘Tutta la critica… (teatrale) …è una lotta tra le cose che i propri sentimenti approvano e le cose che il proprio gusto raffinato reputa ridicole’.

Quali sono i criteri da utilizzare nel valutare se un disco è un buon disco?

La sua capacità di coinvolgere e di suscitare emozioni?

Esatto, vien da dire di primo acchito, ma qualcuno osserverà che si tratta di un metro di giudizio estremamente soggettivo, variabile non solo da individuo ad individuo ma anche in funzione dello stato d’animo, e quindi assai empirico. E poi come giudicare quei dischi che suscitano emozioni di tipo negativo sviscerando con impatto gli aspetti oscuri dell’esistenza e della natura umana?

Potremmo allora valutare positivamente un disco che non suscita alcuna emozione, ma viceversa riesce a rilassarti, trascinarti a canticchiare le sue facili melodie e/o farti ballare al gioco dei suoi ritmi?

Ma così verremmo a perdere buona parte dei dischi che ormai sono riconosciuti da tutti come capolavori!!!

È forse l’aspetto tecnico, d’esecuzione e di registrazione, a determinarne la riuscita? La tecnica, diversamente da come ci hanno insegnato alcuni cattivi maestri, è fondamentale nel processo di produzione musicale: può essere più o meno estesa, più o meno raffinata e più o meno ortodossa, ma è comunque indispensabile. Una persona che non ha mai preso in mano una chitarra o che non sa come funziona un computer non potrà mai utilizzare tali strumenti in un modo minimamente soddisfacente. Lo stesso concetto vale per quanto riguarda l’aspetto pratico della registrazione. Ma è altrettanto vero che la riuscita di un disco non dipende dal livello tecnico, ché quasi sempre i ‘tecnicismi’ sono privi di ‘anima’ e finiscono con l’essere un elemento negativo.

E, infine, può essere un metro di giudizio valido quello che concerne il suo carattere innovativo e la sua originalità?

Questo, almeno secondo me, è l’aspetto più controverso. Innanzi tutto, prima di poter giudicare l’originalità, bisognerebbe aver ascoltato ‘tutta’ la musica che viene suonata in ogni parte del globo, e sfido chiunque ad esibire una conoscenza simile. In secondo luogo è assolutamente da provare che un disco originale possa essere automaticamente anche un disco importante e bello. Quanto all’innovazione, poi, c’è solo da ridere: diffidate di chi vi dice che un disco è destinato ad influenzare la musica a venire perché è semplicemente un disonesto, essendo perfettamente cosciente che fra 100 anni nessuno potrà andare a cercarlo, prenderlo per un orecchio e dargli un calcio in culo dicendo ‘sei un emerito somaro’. C’è poco da fare, ma l’unica certezza sta nel fatto che il futuro non è nostro.

Non sarebbe meglio, allora, ridurre il nostro ruolo a cronisti del presente e depositari di un passato che, quello sì, ci appartiene?

Cosa dire, alla luce di quanto scritto sopra, a proposito di questo disco di Victor Joaquim?

È infatti un disco estremamente piacevole da ascoltare e che pure riesce a coinvolgere emotivamente, soprattutto per l’uso della voce (calda e avvolgente) di Filipa Hora e delle chitarre di Emídio Buchino e Joã Hora (rispettivamente in Thinking Moments e Moments Of Emptiness). Anche la padronanza tecnica strumentale, e la qualità di registrazione, si situano in una gamma medio-alta. Non si tratta certo di un lavoro particolarmente ‘nuovo’ ed ‘originale’, si pone nella scia di pagine come “Endless Summer” e “v3”, e pure sprizza contemporaneità da tutti i pori. Gli 8 ‘momenti’ + 1 di “Flow”, visti sotto questi aspetti, sono sicuramente appetibili e meritano di essere conosciuti. Di converso si può obiettare che “Flow” contiene molti cliché e pochi motivi che possano farlo preferire ad uno dei tanti dischi simili che abbondano nei circuiti del mercato discografico.

Soprattutto se lo valutiamo in relazione alla scena elettronica portoghese, al cui interno Joaquim è uno dei personaggi di punta, appare chiaro come quella scena abbia raggiunto uno standard piuttosto elevato oltre il quale, per il momento, pare improbabile che possa spingersi, e da ciò ne deriva la confezione di materiali sempre più perfezionati e sempre meno stupefacenti (spero di sbagliarmi, ma l’impressione è quella di uno stallo creativo). In definitiva “Flow” è quel genere di disco che, se lo comprate, lo ascoltate con piacere e non vi pentite dell’acquisto, ma se poi vi succede di perderlo non ne sentite certamente la mancanza.

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