Abbiamo incrociato la traiettoria artistica di Luca Forcucci con il precedente e riuscito esperimento di field recording totale De Rerum Natura, esperienza sonora di immersione tridimensionale nella foresta pluviale brasiliana. Nonostante il contenuto acustico in quell’occasione fosse perfettamente intellegibile, già si intuiva una sensibilità “manipolatoria”, desiderio di aumentare le possibilità sonore della realtà attraverso lo zampino della tecnologia. E considerando il curriculum denso di traguardi in ambito computer music, musica elettroacustica, land art e installazioni, non è certo una sorpresa.
Terra, edito dall’etichetta Portoghese Crònica (molto attiva e valida nei vasti territori semoventi del drone, elettroacustica, improvvisazione, ambient) è una “composizione per violoncello, live electronics, frammenti e territori”, stando alle parole dello stesso Forcucci. In un riferimento deleuziano non troppo celato, il concetto della deterritorializzazione e riterritorializzazione domina il fluire del disco e, a ritroso, la sua stessa origine. I movimenti dinamici di allontamento-scontro avvengono fra i vari attori dell’opera: Forcucci stesso, Noémy Braun al violoncello, Lucas Gonseth alle percussioni, schegge di field recording provenienti da Los Angeles, Recife, Beirut e la post-produzione del materiale registrato. Il divenire-suono degli artisti e delle artiste è ben evidente nell’ultima traccia del disco, “Firmus”, la più complessa e stratificata, dove il dialogo fra percussione e violoncello prima invade lo spazio dell’ascolto con la violenza materica che solo un field recording può fare, per poi stemperarsi nella post-produzione di Forcucci. Anche i bozzetti sonori raccolti in diverse aree geografiche subiscono (o determinano?) lo stesso processo di “divenire” scontrandosi con le altre fonti, fondendosi e ritraendosi. Tutti questi fenomeni dinamici, le forze risultanti dall’interfaccia fra elementi diversi, il processo di deterritorializzazione e riterritorializzazione con cui i vari soggetti si studiano, si possiedono, si appropriano di spazi e tempi dell’ascolto, concorrono a definire Terra e la sua peculiare individualità estetica.
Deleuze e Guattari sono talmente citati nel contesto della musica contemporanea ed elettroacustica da risultare quasi indigesti, ma bisogna ammettere che mutuare dal loro pensiero strumenti per mappare i vettori estetici e concettuali di ciò che in musica viene pensato e generato, può portare a risultati entusiasmanti. In questo caso specifico, almeno.
Terra è un disco molto complesso ma anche molto piacevole, mai banale, accidentato nella sua narrazione non lineare. Un piccolo mondo da ascoltare e riascoltare, magari lasciandosi guidare dai vettori di forze che si sprigionano dallo scontro fra i suoi innumerevoli piccoli frammenti. Fabio Fior
via The New Noise