“Lanificio Leo” reviewed by Onda Rock

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“La macchina, per definizione, ripete la stessa sequenza in ogni momento, in ogni stagione, chiunque la usi. Le mie vecchie macchine, invece, non sono più in grado di fare questo. C’è una sorta di anarchia in loro: sbagliano, spesso. Ma se vai oltre l’idea di errore e la controlli, le macchine ti aiutano e diventano co-autori del prodotto assieme a te”
(Emilio Leo)

Il rapporto tra uomo e macchina, forse una delle tematiche più complesse e dense in cui addentrarsi riflettendo e “studiando”, ha trovato in musica le declinazioni più disparate. C’è chi ha trasformato l’elettronica (macchinale) in pop (umano) cantato la subordinazione del pop (e dell’uomo) all’elettronica (alle macchine). C’è chi ha fatto delle macchine in quanto creazioni dell’uomo strumenti squisitamente musicali, chi ha approfondito il rapporto fra di esse e le loro ripercussioni sulla vita umana, e ancora chi ha studiato i loro suoni trasformandoli in linguaggio espressivo extra-musicale. Proprio in seno a quest’ultima operazione si è sviluppata una delle branchie fondative della sound art, ovvero di quella forma d’arte che tratta il suono – anziché ridurlo a “linguaggio” per esprimere sentimenti, descrivere altri oggetti o evocare immagini – come soggetto puro ed autonomo sviluppando le determinazioni interne ad esso e alle sue caratteristiche.

L’operazione di Attilio Novellino e Saverio Rosi – due fra gli esponenti di punta della sound art made in Italy, già insieme nell’avventura parallela di Sentimental Machines – in “Lanificio Leo” costituisce forse una delle esperienze più riuscite ed originali in questo ambito, una sorta di risposta indiretta all’idea di macchina promossa e mitizzata dall’industrial. La location scelta è il Lanificio di Emilio Leo, il più antico in Italia, che continua a produrre utilizzando macchinari ormai per molti “fuori tempo”. Un’alternativa artigianale alla massificazione industriale e alla progressiva de-umanizzazione del prodotto dovuta alla sostituzione totale della macchina all’essere umano. Qui nasce anche l’idea che queste macchine, tanto lontane dalla perfezione scientifica e così poco “autonome”, permettano una compartecipazione tra esse e chi, per necessità, rimane al loro timone. E siano, dunque, ben più umane nella sostanza e nelle necessità rispetto alle moderne tecnologie, che all’uomo risultano speculari nella forma e nella razionalità.

Nell’agosto del 2013, Leo ha ospitato Rosi e Novellino nel suo Lanificio per una sessione di field recordings che i due hanno trasformato in un lavoro, pubblicato oggi da Crónica in solo formato digitale. I primi sette brani sono riproposizioni integrali di alcune delle registrazioni, che impressionano letteralmente per la loro portata espressiva. Sembra davvero di trovarsi a stretto contatto con macchine “animate”, in alcuni casi capaci di trasmettere le sensazioni, le emozioni e i gesti di chi le manovra (“Carding 1: Rove Making / Carding 2: Web Making”), in altri di raccontare e testimoniare la loro storia operativa (“Carding Machine, OCTIR, 1930”) in altri ancora addirittura di vivere una vita propria, per lo meno a livello essenziale (“Self-Acting Machine, BIGALI, 1950”). Rosi e Novellino si limitano qui ad agire come registi di un documentario, selezionando le testimonianze sonore più pregnanti e lasciando alle macchine libertà totale d’espressione.

Culmine della suggestione di questa prima parte è il monolite corale di “Mechanical Dobby Shuttle Loom H220, NARNALI, 1940 / Fulling Machine with Wooden Drum / Rope Washing Machine, 1930”, davvero a pochi passi dai risultati dei moderni processi di elaborazione sonora digitale eppure così “puro”, terreno, concreto. Nella seconda parte del lavoro, i due riutilizzano il materiale registrato come fonte sonora per una composizione di circa venti minuti: “New Vision: Re-Designing vs. Re-Converting” è un’autentica sinfonia in cui le macchine giocano il ruolo degli strumenti musicali, e Novellino e Rosi si “riappropriano” del loro status di musicisti e autori del percorso creativo. Qui il realismo si fa espressionismo autentico, a confronto si trovano concept e percezione sensoriale e in un percorso inverso a quello industrial, macchina e uomo si controllano e si lasciano controllare a vicenda.

Semplicemente illuminante.

Matteo Meda via Onda Rock