Un po’ troppo estremo questo terzo lavoro di Frans de Waard, elettroacustica allo stato ‘quasi-puro’ creata manipolando le registrazioni fatte alla piccola figlia Elise, intenta a giocare con oggetti metallici, carta, bacchette e altri ‘soprammobili’ vari… in definitiva un noiosissimo album di elettronica ‘pseudo-colta’ fatto perlopiù di ‘sfrigolii’ e battimenti. Spero non me ne voglia Freiband! Trovo che album come questo siano assolutamente inutili se non in un contesto di performance audio-visive dove almeno l’occhio ha la sua parte. Potrebbe essere interessante vedere come opera in un contesto live, giusto per avere un’idea dei procedimenti e delle tecnologie usate che sono senz’altro più interessanti del suono proposto.