Pure è il progetto dell’austriaco di stanza a Berlino Peter Votava, giunto qui al suo quarto album.
Peter è in giro dal 1992 e ha partecipato a un’infinità di progetti legati alla musica elettronica e forse è grazie alla sua vasta esperienza che ha dato vita a un album davvero eccellente. “Fire†è una scarica breve e secca costituita da un campionamento della chitarra elettrica di Christoph de Babalon (artista su Digital Hardcore): il senso dell’udito è immediatamente saturato. A questo punto, all’improvviso, il vuoto. Quasi si perde l’equilibrio ed è la volta dell’ambient scurissimo di “After The Bombâ€, al quale verso la fine si aggiunge la batteria Martin Brandlmayr (percussionista proveniente una band chiamata Radian, vanta collaborazioni con Fennesz e David Sylvian), che – più che svolgere una funzione ritmica – sembra suggerire in maniera sinistra il movimento di qualcosa nel buio. Anche “Approximationâ€, cupa quanto la precedente, viene annunciata da delle percussioni, poi prosegue con il suono trattato di corni e – probabilmente – violini, tanto da sembrare uscita un po’ dalle Versailles Session di Murcof e un po’ da qualche composizione d’avanguardia classica. Di nuovo ambient/drone per “Blind Flightâ€, ma anche utilizzo in sottofondo di strumenti ad arco, a donare ulteriore profondità a una traccia resa ancor più inquietante da quei “disturbi†in stile glitch che si trovano un po’ in tutto Ification (il disco precedente di Pure, Noonbugs, era uscito per Editions Mego). “Sonomatopeiaâ€, spettrale come poco altro, è segnata dalla presenza della voce di Alexandra von Bolzn, una cantante di metal estremo che gioca un ruolo simile a quello di Attila Csihar nei Sunn O))). Guarda caso, “Endâ€, la traccia successiva, dato il lavoro di manipolazione del suono del basso suonato dalla sound artist Anke Eckhardt, non sfigurerebbe su un disco di O’Malley e Anderson. Si chiude con “Iron Skyâ€, ospiti di nuovo le percussioni vere di Martin Brandlmayr e i rumorismi digitali di Peter, ai quali verso la metà si aggiunge un accompagnamento solenne di violoncello, per un brano che diviene in seguito l’unico con una ritmica vera e propria, abbinata a disturbi sempre più invasivi e a urla lancinanti filtrate e trattate – come sempre – a dovere.
Un disco dall’impressionante ricchezza di stili e allo stesso tempo molto focalizzato, caratteristica che lo rende uno dei lavori di elettronica sperimentale più efficaci e memorabili usciti l’anno scorso. Fabrizio Garau
via Audiodrome