“Hidden Name” reviewed by RockLab

Inizia così, alle frontiere dello spazio uditivo, in una intensità pervasiva che in qualsiasi modalità di ascolto interferisce e penetra lo spazio acustico che ci circonda, caratterizzando il paesaggio sonoro nella trasfigurazione semantico-strutturale ricalcata dalle suggestive atmosfere della campagna inglese. É senz’altro il field recording la matrice da cui Mathieu e Schaefer prendono il largo (tuttavia in maniera non del tutto impressionista) per poi delicatamente tratteggiare le linee sfumate ed ultrasottili della loro poetica, tutta fatta di immagini sonore inafferrabili che disperdono il loro referente nell’inconsistenza della materia: la nebbia. Non è necessariamente l’ennesimo incontro tra musica e ambiente e neppure una sua restaurazione, non ha nulla di nostalgico, ne nasconde una deriva concettuale al suo interno, ma è semplicemente la risultante di una ricerca estetica portata al suo massimo grado, levigata, scolpita sin nel minimo dettaglio. Sembrerebbe neanche essere la testimonianza di una fusione a freddo di diversi marchi di fabbrica o l’elaborazione ex novo di uno stile in via di definizione… le undici tracce di ‘Hidden Name’ hanno davvero qualche pretesa in più, tra le quali quelle di essere ascoltate e con molta molta attenzione.

Antonio Sforna

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