“Berlin Backyards” reviewed by Kathodik

Berlin Backyards
Esposizione sonora d’interiora berlinesi. Quelle costituite per capirci, dai piccoli spazi aperti, nel retro delle case, delle botteghe. Luoghi usati di massima, per parcheggiare una bici, gettar rifiuti o per dare asilo al motore di un frigo; di un condizionatore. Esposizione d’interni dunque. Lo svizzero Gilles Aubry, vive a Berlino dal 2002, si occupa di installazioni acustiche ed ama le registrazioni ambientali. E Berlino, di materiale da scovare e trattare, ne offre parecchio. Piccole bolle di suono, che erompono dalla monotonia quotidiana di facciata. Il retro, è un brulicare di vita infinitesimale. Fissità metalliche quasi in loop, ventilatori sfondati che vibrano roteando, le voci dalle finestre, il traffico attutito dalla svolta di un angolo, l’immondizia trattata. Non pacificante, ma neanche sinistro. Intrigante per chi ha trascorsi industriali d’impronta dark ambient, meno facile per chi non è avvezzo a proposte del genere.

“Berlin Backyards”, ondeggia, fra il colloquiar sommesso, di un’istante statico, e lo stordente elevarsi di una cinghia di trasmissione in movimento. Con nel mezzo voci, cinguettii e balbettamenti meccanici. Onestamente, senza forzature. Ricordandoci, che la realtà, è una questione di percezione. E questa, è una bella questione. Marco Carcasi

via Kathodik

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