Die Computerwelt öffnet sich zusehends für andere Quellen. Ging es vor ein paar Jahren noch darum zu zeigen, was innerhalb dieser abgeschlossenen Welt alles für Sounds möglich waren, so geht es heute eher um einen Dialog und das Durchbrechen von Ästhetiken, die einer bestimmten Produktionsweise geschuldet sind. Flow ist genau das: ein Fluß aus warm-pulsierenden Klängen, die nicht nur rein synthetisch sind, sondern Gitarre und Stimme inkorporieren. Und dies auf perfekte und bereichernde Weise. Die akustischen Signale scheinen das digitale Umfeld zu neuen Bewegungen zu motivieren. Die Matrix lebt. Kryptischen Datapop gibt es von Gintas K, der gleich auf einer zweiten Disc 60 einminütige Audiofarben einer bestimmten Frequenz mitliefert. So kann sich jeder seinen alternative Version zu seinem strottelnden, leicht federnden Prototechnosound basteln.
“The Wayward Regional Transmissions†reviewed by Loop
Tel Aviv’s based sound and visual artist Ran Slavin delivers his fourth release on Portugal’s Crónica Electronica label and nineteenth since he started his musical career 20 years ago amongst albums, splits, and compilations appearances on labels such as Mille Plateaux, Subrosa. He also has remarkable video production, directing several music videos and composing music for choreographers and dance ensembles.
Slavin’s approach in this album is the Oriental Middle Easter music and his digital sound textures, glitches and field recordings.
The electric guitar soundscapes on ‘Village’ are accompanied by Ahura Ozeri’s collaboration on Bulbultarang [an Indian instrument] as on ‘Wayward Initial’ alongwith some organic animal noises like, concrete sounds, and emerging a half melody. On ‘Jericho’ there is collaboration from Moshe Eliahu playing the Ud [and Arab instrument similar to the lute]. As a backdrop digitally processed Ud’s chords, clicks and unidentifiable noises are interweaving. A minimal beat is the rhythmic approach for ‘Shelters and Peace’, a title that might describe the surroundings in that zone and a desire and the same time. The pulsing beat is hypnotic and recalls midst 90’s minimal techno but subtlety placed in the background. On ‘DAT beats’ there are stuttering voices, percussions and maybe it’s the more improvised piece in the whole album. Again on ‘The Silence’ the Middle Easter music vein with Ozeri’s on Bulbultarang creates an intense atmosphere that almost feels like dangerous perhaps through the dark voices. On ‘Kiosk in Furadia’ the juxtaposition of field recordings made out of female chants combine perfectly with dance beats like. Finally, ‘Hagalil’ delivers melodic Bulbultarang lines which are like spirals that blend different cultures.
Guillermo Escudero
“Flow†reviewed by Sans Zine
In “Morte a vele spiegate†di C. P. Snow, un giallo che al momento sto leggendo, a un certo punto c’è scritto: ‘Tutta la critica… (teatrale) …è una lotta tra le cose che i propri sentimenti approvano e le cose che il proprio gusto raffinato reputa ridicole’.
Quali sono i criteri da utilizzare nel valutare se un disco è un buon disco?
La sua capacità di coinvolgere e di suscitare emozioni?
Esatto, vien da dire di primo acchito, ma qualcuno osserverà che si tratta di un metro di giudizio estremamente soggettivo, variabile non solo da individuo ad individuo ma anche in funzione dello stato d’animo, e quindi assai empirico. E poi come giudicare quei dischi che suscitano emozioni di tipo negativo sviscerando con impatto gli aspetti oscuri dell’esistenza e della natura umana?
Potremmo allora valutare positivamente un disco che non suscita alcuna emozione, ma viceversa riesce a rilassarti, trascinarti a canticchiare le sue facili melodie e/o farti ballare al gioco dei suoi ritmi?
Ma così verremmo a perdere buona parte dei dischi che ormai sono riconosciuti da tutti come capolavori!!!
È forse l’aspetto tecnico, d’esecuzione e di registrazione, a determinarne la riuscita? La tecnica, diversamente da come ci hanno insegnato alcuni cattivi maestri, è fondamentale nel processo di produzione musicale: può essere più o meno estesa, più o meno raffinata e più o meno ortodossa, ma è comunque indispensabile. Una persona che non ha mai preso in mano una chitarra o che non sa come funziona un computer non potrà mai utilizzare tali strumenti in un modo minimamente soddisfacente. Lo stesso concetto vale per quanto riguarda l’aspetto pratico della registrazione. Ma è altrettanto vero che la riuscita di un disco non dipende dal livello tecnico, ché quasi sempre i ‘tecnicismi’ sono privi di ‘anima’ e finiscono con l’essere un elemento negativo.
E, infine, può essere un metro di giudizio valido quello che concerne il suo carattere innovativo e la sua originalità ?
Questo, almeno secondo me, è l’aspetto più controverso. Innanzi tutto, prima di poter giudicare l’originalità , bisognerebbe aver ascoltato ‘tutta’ la musica che viene suonata in ogni parte del globo, e sfido chiunque ad esibire una conoscenza simile. In secondo luogo è assolutamente da provare che un disco originale possa essere automaticamente anche un disco importante e bello. Quanto all’innovazione, poi, c’è solo da ridere: diffidate di chi vi dice che un disco è destinato ad influenzare la musica a venire perché è semplicemente un disonesto, essendo perfettamente cosciente che fra 100 anni nessuno potrà andare a cercarlo, prenderlo per un orecchio e dargli un calcio in culo dicendo ‘sei un emerito somaro’. C’è poco da fare, ma l’unica certezza sta nel fatto che il futuro non è nostro.
Non sarebbe meglio, allora, ridurre il nostro ruolo a cronisti del presente e depositari di un passato che, quello sì, ci appartiene?
Cosa dire, alla luce di quanto scritto sopra, a proposito di questo disco di Victor Joaquim?
È infatti un disco estremamente piacevole da ascoltare e che pure riesce a coinvolgere emotivamente, soprattutto per l’uso della voce (calda e avvolgente) di Filipa Hora e delle chitarre di EmÃdio Buchino e Joã Hora (rispettivamente in Thinking Moments e Moments Of Emptiness). Anche la padronanza tecnica strumentale, e la qualità di registrazione, si situano in una gamma medio-alta. Non si tratta certo di un lavoro particolarmente ‘nuovo’ ed ‘originale’, si pone nella scia di pagine come “Endless Summer†e “v3â€, e pure sprizza contemporaneità da tutti i pori. Gli 8 ‘momenti’ + 1 di “Flowâ€, visti sotto questi aspetti, sono sicuramente appetibili e meritano di essere conosciuti. Di converso si può obiettare che “Flow†contiene molti cliché e pochi motivi che possano farlo preferire ad uno dei tanti dischi simili che abbondano nei circuiti del mercato discografico.
Soprattutto se lo valutiamo in relazione alla scena elettronica portoghese, al cui interno Joaquim è uno dei personaggi di punta, appare chiaro come quella scena abbia raggiunto uno standard piuttosto elevato oltre il quale, per il momento, pare improbabile che possa spingersi, e da ciò ne deriva la confezione di materiali sempre più perfezionati e sempre meno stupefacenti (spero di sbagliarmi, ma l’impressione è quella di uno stallo creativo). In definitiva “Flow†è quel genere di disco che, se lo comprate, lo ascoltate con piacere e non vi pentite dell’acquisto, ma se poi vi succede di perderlo non ne sentite certamente la mancanza.
“Flow†reviewed by e/i magazine
Often it is not enough to be dear to the other—one feels compelled to be fatal to them. Tangled in the maw of long, violin-like sonorities, shards of jack-plug static and nightmarish boomings suggestive of cavernous depths, the strangely neutral voice of Filipa Hora—overdubbed and pitchshifted variously up and down—bears out just this fear, musing “I think this is so dangerous, this intimacy…I think you’re getting so close, I think I’m going to have to stop you from getting closer.†The album charts the passage of the Other in its irreducible foreignness to its deterritorialization and regulated exchange as difference. The compositional techniques are wide and many, but they are all connected up to one another by Joaquim’s processing as though by an immense umbilical cord. Submersive listening is best, as it brings to light the manners in which seemingly random sounds are siphoned into a structure that is given impetus and accrues complexity. Despite its fragmentary nature, moments of melody and harmonic resolution emerge from the shadows of the dim tonal palette. In fact, numerous pieces, especially “Moments Of Emptiness,†betray an affinity for post-rock in their reliance on elliptical melodies and doomy bass vibrations. Joaquim’s approach is more strategic, however. In a subtle manner, he recombines and loops scrambling clusters of reprocessed sound, bleary beats, and subterranean echoes, creating a dramatic tension between movement and stasis. Other works such as “Moments Of Silence†pivot in unusual places, affording it a structural slipperiness which, when combined with metallic guitar lines that rub each other the wrong way, heighten the woozy, dreamlike aura of the work on a whole. With “Misleading Moments†the work comes full circle and the Same assumes its position as the heir to the Other. The album’s signature funeral march of grating electronics and slow-burning guitar clang is repeated, only painted over with some high-end frequencies that glimmer through the ominous ambience like stars through smog. Everything does flow through a single nebula, then, one which is taut and compelling in its use of sound in the construction of narrative. (MS)
“Flow†reviewed by etherreal
Attention, ceci est un disque Cronica !!!
Comme d’habitude avec ce label, on est partagé entre l’a priori positif (on a rarement été déçu par les sorties du label portugais), et l’appréhension d’avoir a faire à un disque un peu plus difficile que les autres, conceptuel, abscons. Cronica Electronica est toujours à la limite, mais s’en sort généralement à merveille en produisant une musique à la fois difficile et sensible.
Flow ne déroge pas à la règle, bien au contraire. Il s’agit peut-être là de la toute meilleure sortie du label, avec ici le troisième album de cet artiste portugais qui a collaboré notamment avec Harald Sack Ziegler, @c, O.Blaat, Scanner, Marc Behrens, ou Simon Fisher Turner pour n’en citer que quelques uns.
Pour ce deuxième album chez Cronica, Vitor Joaquim travail sur l’intime, sur la mémoire et sur l’interaction entre l’humain et les machines, en attribuant à celles-ci une dose d’humanité. On le verra plus tard, le résultat est troublant.
A propos d’intime et de mémoire, les huit titres qui composent cet album contiennent le terme “Moments” : Moments of Skin, Slow Moments, Thinking Moments, Moments of Emptiness, ou ce Moments of Your Time qui ouvre l’album en ne laissant aucun doute quant à la qualité globale de l’album. Finesse, délicatesse et précision sonore semblent guider l’artiste qui agence ici clicks, tintements acoustiques, grésillements de machine, discours sur ondes radio et hésitations de laptops. L’occupation de l’espace sonore rassure en se faisant douce et cotonneuse, et les constructions (utilisation de boucles plus ou moins perceptibles) contribuent à l’aspect hypnotique de l’album.
Enchaînement parfait pour parler de Slow Moments et de l’imbrication Hommes-Machines. Une intro que je renierais pas AGF avec une voix féminine au filtrage cybernétique nous parle de la confrontation entre le besoin d’intimité et le danger que représente celle-ci. Vitor Joaquim traite de la nature humaine et de ses contradictions dans une musique alliant douceurs et fractures, voix et machines arides. L’imbrication sera à son apogée sur Moments of Sync et Thinking Moments où une machine semble respirer. Les hésitations vocales nous rappellent d’ailleurs le récent Wordless de Yannis Kyriakides qui supprimait tout les mots d’interviews pour ne garder que les soupirs, respirations et autres bruitages buccaux.
Parfois, une guitare fait son apparition, révélant une mélodie immédiate qui se faufile entre les machines, ou se faisant justement déformée, syncopée et mise en boucle par l’électronique pour un résultat toujours envoûtant et hypnotique (Moments of Emptiness).
Pour ceux qui ne connaîtraient pas encore ce label, Flow constitue un excellent point d’entrée, tout à fait accessible tout en restant fidèle au son du label. Les autres craqueront une nouvelle fois et reviendront certainement sur cet artiste talentueux.
Fabrice Allard
“Flow†reviewed by Terz
Ebenso abgegangen und -gefahren: Joaquims Versuch, die Stimme als nahezu nackte Form der menschlichen Expression mit Computern zu verbinden. Die Struktur der Interaktion und das faszinierende instrumentale Processing kommen zu grandiosen Ergebnissen, die zu den intensivsten und experimentell besten Audios der letzten Zeit gehören.
“The Wayward Regional Transmissions†reviewed by Orkus
Hinter den Luftaufnahmen aus Nahost, die das Booklet von The Wayward Regional Transmissions bestimmen, wartet der Ambient- und Videokünstler Ran Slavin mit seinen unberechenbaren Konglomeraten aus Electronica, Drones, Funksignalen und Elementen arabischer Folklore. Eine nicht nur auf den ersten Blick krude Mischung, die auch ihre Zeit benötigt, um dem Hörer vermittelt zu werden. Hat man sich aber an den seltsamen Stilmix gewöhnt, entfaltet The Wayward Regional Transmissions durchaus seinen Charme, wenn dezente orientalische Instrumente und sonorer Gesang neben elektronischen Störgeräuschen und flimmerndem Ambient auftauchen. In der Gesamtheit betrachtet, lässt Ran Slavins aktueller Streich jedoch eher kalt und sorgt bei Weitem nicht durchgehend für helle Momente in diesem durchaus reizvollen Genrecrossover.
“Flow†reviewed by Neural
Un flusso costante nell’esercizio certo non banale modulato da digitali astrazioni che sono relazionate a una voce: effusioni trattenute, scorrere del tempo, circolare del sangue, ondeggiare e derivare dai propri stessi percorsi, traboccare infine. Uno splendido e poetico album questo del portoghese Vitor Joaquim, intimista e inquieto, che molto racconta nelle sue sequenze instabili del potenziale insito (anche dolorosamente) in ogni relazione fortemente cercata. Lavoro alla quale si è avvezzi, soprattutto quando è pratica consueta mescolare artisticamente le proprie emozioni con quelle d’altri: nell’improvvisazione, nel teatro-danza, nelle forme d’arte multimediale, ad esempio, territori abituali per questo musicista, supportato nel progetto dalle immaginative elaborazioni visuali di Lia, da Filipa Hora (voce), da João Hora e da EmÃdio Buchinho (chitarre).
Aurelio Cianciotta
“Flow†reviewed by Ox
Noch das vorherige Tanzvergnügen im Ohr wirkt “Flow” (cronicaelectronica.org/A-Musik) von Victor Joaquim milde ausgedrückt ein wenig langatmig, steif und zu konzeptionell. Ein direkter und intimer Austausch zwischen menschlicher Stimme und Computer soll es sein. Nun gut, hört sich vom konzeptionellen Ansatz her sehr interessant an, ist aber in der praktischen Umsetzung leider nur ein dürftiges unspektakuläres Hörerlebnis. Knisternde Elemente und knarzende Modemsounds wechseln sich mit belanglosen und extrem sterilen, verhallten Klangflächen ab oder fließen übergangslos ineinander. Kurz gesagt: Zeitverschwendung.
“Flow†reviewed by BlowUp
Ciò che però in buona sostanza manca alle due opere citate è calore e capacità di emozionare (ed emozionarsi). Qualità che ritroviamo invece nel nuovo album del compositore portoghese Vitor Joaquim. E se, in effetti, Flow è il titolo della traccia video ad opera di Lia, il flusso che attraversa il disco è – come da titolazione – fatto di momenti, momenti di silenzio, momenti di vuoto, momenti pensanti, momenti lenti etc. Una musica semplicemente e densamente sussurrata, instabile e barcollante, abbarbicata intorno alla voce di Filipa Hora che in Moments of Silence diventa balbettante mormorio alla Laurie Anderson, e poi frammenti rubati a trasmissioni televisive e a un vecchio disco pubblicato dalla stessa etichetta (“La Strada is on Fire” del 2003, n.d.r.) e ancora le chitarre di EmÃdio Buchinho e João Hora. In poche parole libera di rivelarsi intima e trepidante, come molta musica d’ambito contiguo – fatalmente impigliata nei pixel di quel buco nero che è ormai diventato il laptop – non riesce più a fare. (7/8)
Nicola Catalano